di Salvo Barbagallo
In film e lunghe serie televisive, soprattutto “made in USA” sono state prefigurate situazioni catastrofiche come quella che si sta vivendo oggi con la pandemia del Coronavirus: facile immaginare e ipotizzare scenari catastrofici poiché le probabilità che possano verificarsi sono tante. Questi film e fiction tv hanno avuto sempre successo ma subito dimenticate. L’elenco è lungo e meno giovani e giovani qualche titolo sicuramente lo ricorderanno.
A chi è un po’ avanti nell’età sicuramente tornerà in mente lo statunitense “La città verrà distrutta all’alba” – titolo originario “The Crazies” – di George A. Romero, proiettato nella sale cinematografiche nel lontano 1973: racconta di un incidente militare che provoca la fuoriuscita di un’arma biologica, che ha l’effetto di fare impazzire le persone, in una cittadina e dei processi di insabbiamento e contenimento della popolazione da parte delle forze armate. Finale negativo.
C’è anche una serie televisiva USA che più avanti nel tempo, nel 1994, ripropone il tema del morbo epidemico. È “L’ombra dello scorpione” (“The Stand”) tratta dall’omonimo romanzo di Stephen King e diretta da Mick Garris: nel corso della sperimentazione in laboratorio, un virus simile a quello dell’influenza, sfugge al controllo dell’esercito e si espande nell’aria di una cittadina del Maine. Non c’è una cura per questo virus e l’umanità rischia l’estinzione. Finale semi-negativo: c’è chi si salva.
Interessante e complesso il film del 1995 “Virus letale” (“Outbreak” – USA, vedi foto copertina) del regista tedesco Wolfgang Petersen che ebbe un buon seguito di pubblico grazie a un cast d’attori di primo piano (Dustin Hoffman, Rene Russo, Kevin Spacey, Donald Sutherland, Morgan Freeman), che parla di una cura sperimentale americana condotta in Africa e finita in epidemia negli Anni Sessanta a causa della quale si era dovuto distruggere un’intera area abitata. La questione era stata insabbiata poiché l’intenzione dei militari era di fare di quel virus un’arma biologica. Decenni dopo il virus compare negli States trasportato da una scimmia. Finale più o meno ottimista, ma con vittime in numero ragguardevole.
Anche in Gran Bretagna il tema del virus mortale viene trattato, in chiave ambientalista, con il film diretto nel 2002 da Danny Boyle “28 giorni dopo” (“28 Days Later”): Londra veniva presentata come ai giorni nostri. Finale piuttosto tragico: gli infettati, trasformati dal virus in zombie, muoiono d’inedia.
Nel 2002 in USA spopola al botteghino “Resident Evil” diretto da Paul W. S. Anderson, primo di una saga cinematografica ispirata alla serie di videogiochi prodotta nel 1996. Creato artificialmente il virus T contagia l’aria del laboratorio di una multinazionale farmaceutica. Tutti gli scienziati muoiono ma il computer di sicurezza mette in quarantena l’area. Disattivando i sistemi di sicurezza, l’esercito libera il virus che sfugge al controllo trasformando i morti in zombie.
Successo anche per il film “Contagion” del 2011 del regista Steven Soderbergh, con un cast di alto gradimento dove appaiono come protagonisti Marion Cotillard, Matt Damon, Laurence Fishburne, Jude Law, Gwyneth Paltrow, Kate Winslet e Bryan Cranston. Il film è stato riproposto recentemente da una rete tv nostrana suscitando polemiche, vista la situazione attuale del Coronavirus. Una donna di ritorno da un viaggio a Hong Kong, muore dopo i primi sintomi di un’influenza. Si scopre che ha contratto un virus chiamato MEV-1 che colpisce polmoni e sistema nervoso. Il virus inizia a espandersi velocemente contagiando il mondo. Insomma, pandemia. Come si può leggere in Wikipedia, strane si mostrano le analogie con questa sta accadendo oggi: (…) Nel finale del film viene mostrata la trasmissione iniziale del virus. Delle pale meccaniche dell’azienda per cui lavorava Beth Emhoff estirpano delle palme da una foresta nei pressi di Hong Kong, piante dalle quali vengono disturbati alcuni pipistrelli che si spostano su un albero di banane; uno di questi cibandosi dei frutti ne fa cadere un pezzo all’interno di un capannone in cui uno dei maiali allevati lo mangia. Il maiale, successivamente ucciso e portato in un ristorante del centro di Hong Kong, viene trattato a mani nude dallo chef. Lo stesso cuoco, senza lavarsi le mani successivamente al contatto con la bocca del suino, stringerà le mani di Beth Emhoff che si trova proprio nel ristorante della metropoli durante il viaggio di lavoro per la propria azienda, facendola diventare il paziente zero.
La cinematografia spesso ha “anticipato” problematiche che coinvolgono le collettività: non c’è da stupirsi. A nostro avviso dovrebbe suscitare qualche interrogativo – ma forse il momento non è opportuno – la vera origine del Coronavirus. È questo un “aspetto” che sembra essere trascurato, limitandosi (senza molta “discussione”) ad affermare “è un virus naturale” oppure “è un virus nato in laboratorio”. Ipotesi in netta contrapposizione fra loro che non chiariscono un bel nulla e ci si chiede perché non si vada a fondo. Allora forse è opportuno riportare l’inizio del reportage di Mirko Molteni pubblicato il 20 marzo scorso su “Analisi Difesa” che vale la pena leggere nella sua interezza: “Anche quando sono molto inefficaci, con pochi morti, come nel caso delle lettere all’antrace negli USA, le armi biologiche sono considerabili come armi di ‘rottura’ di massa poiché possono gettare un’intera nazione nel caos. Le armi biologiche influenzeranno molti aspetti della nostra vita di routine, mandandoli fuori schema. Porteranno il terrorismo sulla soglia di casa di ognuno di noi”. Così scriveva nel 2004 l’ufficiale indiano Sharad S. Chauhan nell’introduzione del suo libro “Biological Weapons”, tracciando un affresco che parrebbe realizzarsi oggi, sebbene il virus Covid-19 venga considerato dai più di origine naturale. E vogliamo comunque pensare che lo sia, anche perché, storicamente, dalla Cina e in genere dall’Asia, si sono sempre diffuse pandemie che hanno raggiunto l’Europa per via di terra o di mare. È chiaro però che in sede di riflessioni geopolitiche non ci si può esimere perlomeno dal rilevare alcuni fatti quantomeno curiosi, lasciando il beneficio del dubbio. E del mistero. Non è facile tracciare una, peraltro parziale, interpretazione dell’attuale pandemia di virus Covid-19 dal punto di vista dei suoi possibili aspetti strategici e militari. Le informazioni liberamente disponibili possono spesso essere intossicate dalle cosiddette “fake news”, o come preferiremmo dire noi “fandonie”, e da ipotesi complottistiche di ogni tipo. Per ora l’unica certezza assodata è che lo sconvolgimento causato sugli assetti economici mondiali rischia di essere molto duraturo, e forse di mettere pesantemente in discussione il processo di globalizzazione degli ultimi trent’anni, che ha avuto uno dei suoi epicentri proprio nel delegare alla Cina la funzione di “manifattura universale”, attirandovi per decenni investimenti stranieri e delocalizzazioni produttive di ogni risma (…).